L'interferometria differenziale SAR - Tecniche di analisi

Interferometria Differenziale SAR da satellite per la misura degli spostamenti del suolo

L’Interferometria Differenziale SAR (Synthetic Aperture Radar), nota come tecnica DInSAR, o più semplicemente InSAR, è una tecnica di telerilevamento che permette di misurare le deformazioni della superficie terrestre a partire dalla differenza di fase (interferogramma) tra due immagini SAR relative alla scena osservata e acquisite in tempi diversi lungo due orbite sufficientemente vicine. In particolare, tale tecnica consente di rilevare fenomeni di deformazione che producono una variazione di distanza dei target osservati dal sensore, misurando la proiezione dello spostamento lungo la linea di vista del radar (line of sight, LOS) con una precisione che è frazione della lunghezza d’onda alla quale opera il sistema, quindi dell’ordine del centimetro e, in alcuni casi, anche di qualche millimetro (Massonnet et al., 1984; Burgmann et al., 2000; Gabriel et al., 1989; Rosen et al., 2000).


Figura 1 –Scenario DInSAR

Figura 1 - Scenario DInSAR nel piano ortogonale alla direzione di volo (azimuth). SAR1 e SAR2 indicano la posizione del sensore SAR nei due passaggi avvenuti negli istanti di tempo t1 e t2, e tra i quali si verifica una deformazione del suolo (linea rossa tratteggiata). r1 e r2 indicano la distanza sensore-target rispettivamente agli istanti t1 e t2, θ l’angolo di vista del sensore, b la distanza tra le due orbite (baseline spaziale) lungo cui avvengono le due acquisizioni e dlos (linea rossa continua) lo spostamento avvenuto, nell’intervallo di tempo t1-t2 (baseline temporale) e misurato lungo la linea di vista del sensore, denominata LOS (Line of Sight).

La capacità della tecnica DInSAR di rilevare gli effetti prodotti da singoli eventi deformativi (ad esempio un’eruzione vulcanica o un terremoto) è stata ampiamente dimostrata a partire dagli anni ’90 e, successivamente, l’interesse della comunità scientifica e degli enti di sorveglianza si è concentrata sulla possibilità di monitorare l’evoluzione temporale delle deformazioni individuate, specie in zone con dinamica a carattere fortemente non lineare, come ad esempio, le aree soggette ad attività di estrazione/stoccaggio di idrocarburi e di re-iniezione di fluidi nel sottosuolo.
In questo contesto, negli ultimi quindici anni sono state sviluppate numerose tecniche interferometriche cosiddette “avanzate” (per distinguerle dalle tecniche DInSAR “classiche” che prevedono la produzione di singoli interferogrammi), basate su approcci multi-temporali. Tali tecniche, sfruttando efficacemente grandi data-set costituiti da sequenze temporali di immagini SAR, e scegliendo opportunamente le coppie di immagini SAR per la generazione dei corrispondenti interferogrammi, consentono di produrre non solo mappe di singoli eventi, ma anche serie temporali di deformazione relative a fenomeni lenti, caratterizzati da velocità di spostamento di alcuni cm/anno (Ferretti et al., 2001; Hooper et al., 2000; Berardino et al., 2002; Lanari et al., 2000; Hooper et al., 2008; Ferretti et al., 2011; Sansosti et al., 2014)).
Uno dei punti di forza delle tecniche DInSAR avanzate che ne ha favorito lo sviluppo e incentivato l’utilizzo in vari scenari di rischio, è l’accuratezza con cui è possibile misurare gli spostamenti superficiali: si possono raggiungere accuratezze molto elevate, di circa 1-2 mm/anno sulle misure di velocità media di deformazione e di circa 5-10 mm sulle misure di deformazione. Inoltre, rispetto alle tecniche di monitoraggio in situ, come levelling, GPS o inclinometri, le tecniche DInSAR avanzate consentono di analizzare ampie porzioni della superficie terrestre (da alcune centinaia fino a decine di migliaia di km2) garantendo un’elevata densità spaziale dei punti di misura, preservando, quindi, le caratteristiche di ampia copertura tipiche dei sistemi di immagini satellitari. Pertanto, nel caso di fenomeni deformativi spazialmente estesi, come quelli potenzialmente legati ad attività di sfruttamento del sottosuolo, le tecniche DInSAR avanzate risultano essere particolarmente efficaci in termini di costi/benefici, soprattutto se rapportati all’estensione dell’area analizzabile.

L’approccio Small BAseline Subset (SBAS)

L’algoritmo SBAS è una tecnica DInSAR avanzata che consente di analizzare le caratteristiche spazio-temporali dei fenomeni deformativi osservati mediante la generazione di mappe e serie temporali della deformazione superficiale (Berardino et al., 2002). Essa si basa su una opportuna combinazione di interferogrammi, ottenuti a partire da dati acquisiti da orbite sufficientemente vicine (piccole baseline spaziali) e possibilmente con tempi di rivisitazione non elevati (piccole baseline temporali); queste caratteristiche consentono di minimizzare gli effetti di rumore (denominati di decorrelazione spaziale e temporale) (Zebker A. and J. Villasenor, 1992), incrementando pertanto il numero di punti per unità di area sui quali si riesce a fornire una misura affidabile della deformazione osservata. Inoltre, tutte le misure di spostamento superficiale sono riferite ad un unico punto nello spazio, scelto in una zona ritenuta stabile, e ad un istante nel tempo, che tipicamente corrisponde alla prima acquisizione disponibile, e si riferiscono alla componente degli spostamenti superficiali rilevati, proiettata lungo il LOS del radar.
Un aspetto cruciale dell’approccio SBAS è quello di permettere analisi DInSAR delle deformazioni superficiali a due differenti scale spaziali, definite scala regionale (media risoluzione e locale (piena risoluzione) (Lanari et al., 2004; Manunta et al., 2008). Alla scala regionale, sono sfruttati dati SAR generati a media risoluzione spaziale (con una risoluzione spaziale del pixel che varia dai 30 m ai 100 m, a seconda del tipo di dati SAR utilizzato), al fine di ottenere mappe di velocità media e serie storiche di deformazione relative ad aree che si estendono per diverse decine di migliaia di chilometri quadrati. Alla scala locale, la tecnica sfrutta invece i dati SAR generati a piena risoluzione spaziale (risoluzione spaziale anche di qualche metro) per analisi di dettaglio in aree sensibili, consentendo di rilevare fenomeni deformativi, anche molto localizzati spazialmente, relativi ad edifici o a singole strutture.
Un ulteriore sviluppo della tecnica SBAS consiste nella possibilità di generare serie storiche di deformazione molto lunghe, di circa vent’anni, utilizzando congiuntamente dati SAR relativi alla stessa scena a terra e acquisiti da sensori diversi ma geometricamente compatibili, come nel caso dei sensori ERS-1, ERS-2 ed ENVISAT dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). In particolare, l’approccio SBAS multi-sensore può essere applicato sia alla scala regionale, sia alla scala locale per studiare fenomeni deformativi lenti su lunghi intervalli temporali e ricostruirne la loro evoluzione nel passato (back-analysis), sfruttando al meglio i grandi archivi di dati SAR collezionati dai due sistemi radar dal 1992 al 2010 (Pepe et al., 2005; Bonano et al., 2012).
Inoltre, la tecnica SBAS consente di ottenere mappe di velocità media e serie storiche di deformazione, con un’accuratezza di circa 1-2 mm/anno e 5-10 mm per quanto riguarda, rispettivamente, le misure di velocità media di deformazione e le singole misure di spostamento (Casu et al., 2006; Bonano et al., 2013).

Figura 1 –Scenario DInSAR

Figura 2 - Rappresentazione grafica della tecnica DinSAR SBAS.







Recentemente, è stata sviluppata una versione parallela di tale tecnica, nota con l’acronimo di P-SBAS (Parallel SBAS). P-SBAS sfrutta infrastrutture di calcolo distribuite (cluster, grid, cloud) utilizzando tecniche di programmazione multi-core e multi-nodo; è, quindi, in grado di eseguire l’elaborazione di grandi moli di dati SAR abbattendo notevolmente i tempi di calcolo rispetto alla versione originale sequenziale dell’approccio SBAS (Casu et al., 2014; Zinno et al., 2015; Zinno et al., 2016; Zinno et al., 2017; De Luca et al., 2017). La tecnica P-SBAS, capace di sfruttare in modo efficiente infrastrutture di calcolo distribuite, consente la creazione di servizi satellitari avanzati, basati sull’aggiornamento automatico delle serie storiche di deformazione quando nuove acquisizioni sono disponibili. Questo tipo di applicazione è particolarmente rilevante se utilizzata in combinazione con dati SAR della costellazione europea Sentinel-1 (Zinno et al., 2018; Manunta et al., 2019), che acquisisce immagini SAR con copertura globale a cadenza settimanale. Tale risultato, infatti, ricopre un’enorme rilevanza nell’utilizzo delle tecniche satellitari per il monitoraggio del territorio e la gestione del rischio ambientale, in quanto consente di utilizzare la catena di elaborazione di dati radar non solo in ambito scientifico, ma in contesti sempre più operativi (fase di pre-allerta e in condizioni di emergenza) di monitoraggio dei fenomeni deformativi del suolo (di origine naturale o antropica), e di valutazione e mitigazione del rischio ad essi associato.
La tecnica SBAS, e la sua più recente evoluzione P-SBAS, sono capaci di sfruttare i più diffusi dati satellitari attualmente disponibili. Si tratta di una tecnica oramai consolidata, sperimentata con successo utilizzando dapprima dati acquisiti dai satelliti ERS-1/2, ENVISAT dell’ESA (noti come sensori di prima generazione, aventi copertura spaziale dell’ordine di un centinaio di km, tempo di rivisita mensile e risoluzione spaziale dell’ordine della decina di metri) e dalle costellazioni di seconda generazione (aventi minore copertura spaziale ma tempi di rivisita più brevi, sotto la decina di giorni e risoluzione spaziale più spinta, dell’ordine dei metri) COSMO-SkyMed e TerraSAR-X dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e Tedesca (DLR). Tali dati sono stati usati per l’analisi delle deformazioni degli edifici vulcanici dell’Etna e del Vesuvio, delle caldere dei Campi Flegrei e di Long Valley (California, USA), delle deformazioni connesse agli eventi sismici de L’Aquila (6 aprile 2009) e dell’Emilia (20 e 29 maggio 2012), di varie aree urbane (Napoli, Roma, Los Angeles, etc.), oltre che di zone soggette a fenomeni di frana (Maratea, Assisi, Fango, etc.); recentemente, la tecnica SBAS è stata applicata ai dati collezionati dalla costellazione Sentinel-1, composta da due sensori gemelli Sentinel-1A e Sentinel-1B, messi in orbita rispettivamente ad Aprile 2014 e Aprile 2016, per l’analisi delle deformazioni cosismiche connesse ai terremoti di Gorkha (Nepal) del 25 aprile 2015 e di Illapel (Cile) del 16 settembre 2015.